AttualitàCulturaLibri

Maurizio de Giovanni, il cuore gli ha raccontato una storia: «Immaginiamo che…»

Tempo di lettura stimato: 4 minuti

Maurizio de Giovanni racconta in un post su Facebook l’infarto che lo ha colpito due settimane fa. E lo fa nel suo stile, come se stesse scrivendo una pagina di uno dei suoi libri di successo. Così, quel momento drammatico diventa il pretesto per narrare una storia, dove realtà e fantasia si mescolano per creare suggestioni che incantano il lettore.

Quegli stessi lettori che, quando il 13 luglio si diffuse la notizia del malore che aveva colto lo scrittore napoletano, erano stati in pena per la sua salute. E in poche ore i suoi canali social erano stati invasi da messaggi di auguri per una pronta guarigione.

Maurizio de Giovanni rassicura i suoi fan

E allora lo stesso Maurizio de Giovanni ha voluto innanzitutto rassicurare i suoi numerosissimi fan, iniziando il post con tre semplici parole: «Batte. Batte ancora».

E poi il colpo di genio, che trasforma quell’appuntamento con la morte nella pagina di un romanzo. Ma stavolta il narratore è il cuore dello stesso scrittore.

«Diciamo che a un certo punto s’è inventato una storia – scrive Maurizio de Giovanni –. E mentre me la raccontava si è così tanto immedesimato da diventare un po’ troppo realistico. Ha detto: “Immaginiamo che decida di fermarmi. Che questo velo di sudore freddo, questo senso di oppressione che senti in petto, questo dolorino scemo in mezzo alle scapole sia l’inizio di un processo irreversibile”».

A questo punto c’è un passaggio che rivela molto del rapporto che lo scrittore ha con la fine della vita: «[immaginiamo] Che succeda proprio qui, nel luogo che ti è più caro, esattamente dove vorresti essere, all’interno dell’aria che ha appena respirato chi ami di più. Che succeda come hai in fondo sempre desiderato, senza lunghe battaglie, senza perdita di dignità e di autonomia, con una sofferenza limitata nel tempo e tutto sommato discreta, senza agonie. Che succeda adesso, che hai vissuto abbastanza da ridere e piangere, che chi ami non dovrà combattere con le avversità e potrà vivere sereno. Immaginiamo questo, mi ha detto. Che succeda come un fulmine, abbagliante e immediato, alle soglie del declino e della perdita di forza».

La realtà che si mescola alla finzione

Ma questo dialogo surreale tra Maurizio de Giovanni e il suo muscolo cardiaco è interrotto dal resoconto dei fatti che si succedevano con drammatica rapidità.

«Mentre mi raccontava la sua storia, man mano più realistica, e l’auto correva verso l’ospedale e l’infermiera geniale diceva codice rosso avendomi solo guardato in faccia da venti metri, mentre si completava il viaggio verso un luogo di assoluta eccellenza e professionalità, mentre attorno a me ognuno sapeva con esattezza quello che doveva fare, in una coreografia perfetta che era un inno alla competenza, mi chiedevo il perché dell’assenza della paura. Avvertivo piuttosto una strana malinconia, una specie di assurda nostalgia del futuro. Un senso di cose perdute, un vago scrupolo, come quando ci si addormenta vinti dalla stanchezza avendo ancora qualcosa di importante da fare».

Poi irrompono sulla scena i personaggi dei suoi romanzi: «E dietro la fila perfetta dei camici verdi e delle mascherine e dei cappellini, sotto il grande schermo sul quale il Professore studiava i flussi e le barriere da abbattere, ho intravisto un gruppo di spettatori interessati sul cui volto c’era la mia stessa nostalgia triste. Uno aveva gli occhi obliqui, e i lineamenti orientali. Una i capelli grigi e lo sguardo attento. Un’altra le labbra strette e gli occhi fieri, e un corpo che non dovrebbe entrare in un reparto di cardiologia. E altri ancora, un brigadiere corpulento, una sciantosa con un velo di barba, un ragazzo con gli occhiali azzurrati e una camicia hawaiana; perfino uno grosso con un cagnone immenso al guinzaglio».

Se il commissario Ricciardi decide che per Maurizio de Giovanni non è il momento di andare

«Finché dal gruppo si è staccato uno, con un soprabito fuori moda, che si è avvicinato e mi ha sussurrato: no. Non se ne parla. Non ancora. Gli ho fissato gli occhi verdi e mi sono stretto nelle spalle. Non è mia questa storia, gli ho detto. Parla con lui. In quello stesso momento il Professore ha detto: ecco qua. Tutto a posto. E lui, il cuore, ha sorriso e ha detto: però era una bella storia. Da tenere a mente. No?».

Una storia che fortunatamente Maurizio de Giovanni ha potuto raccontare in questo post, concludendo con i ringraziamenti a quanti, tantissimi, gli hanno inviato messaggi di vicinanza. E infine assicura di nuovo che il suo cuore batte ancora: «Per le stesse cose di prima: una città azzurra e disgraziata, e un popolo allegro e malinconico che mi raccontano storie. Storie che forse, e dico forse, mi hanno salvato la vita».

Se quest'articolo ti è piaciuto e/o l'hai ritenuto utile, fai una donazione per sostenere il blog! Clicca qui per scoprire le ricompense che offriamo in cambio. Grazie per il tuo sostegno!

Gennaro Morra

Nato e cresciuto a Napoli, dove vivo attualmente, ho studiato informatica e sociologia. Ho tante passioni, ma quella che coltivo di più è la scrittura in tutte le sue forme. Sono giornalista pubblicista e ho all’attivo un romanzo, una raccolta di poesie, alcuni testi per canzoni, diversi premi vinti in concorsi di poesia e narrativa, collaborazioni con Repubblica Napoli e il Mattino.

Commenta

%d