“Mimì e le ragazze della pallavolo” di Sara Sole Notarbartolo
Mimì e le ragazze della pallavolo, questo il nome dello spettacolo in scena domenica 8 maggio, proprio in occasione della festa dedicata alle mamme. Chi non ricorda il cartone animato, il manga giapponese, che ha fatto sognare generazioni di adolescenti, a cui si rimanda in maniera evidente?
Però poi il sottotitolo dello spettacolo, scritto e diretto da Sara Sole Notarbartolo, chiosa con “dove Mimì sta per Domenico” e chiarisce il suo intento: quello di sollevare il velo sulla questione della transessualità, della scelta, resa spesso troppo difficile, di chi essere; del bisogno profondo di accettazione; della paura atavica di perdere gli affetti più cari e le proprie stesse prospettive di vita.
Ad accogliere questa sfida un piccolo e affascinante spazio off, dove si respira arte e cultura: il Nostos di Aversa.
Come nasce l’idea di Mimì e le ragazze della pallavolo
«Lo spettacolo – racconta Sara Sole – è nato da una serie di interviste a esponenti della comunità Lgbt, ad accademici e a persone del popolo, il cosiddetto coro».
Tra le persone intervistate vi sono le sportive Valentina Petrillo e Tiffany Pereira De Abreu.
Sembrerebbe sin da subito emergere una reazione tendenzialmente diversa, rispetto alla genitorialità, da parte di due classi sociali in particolare: quella proletaria e quella borghese.
Il cosiddetto popolino, come sottolinea l’autrice e regista, è animato da amore passione, pathos, ma ha bisogno di essere rassicurato di trovarsi sulla strada e nella direzione giusta. Quella borghese, invece, ha potenzialmente più strumenti intellettuali e culturali, ma si tratta di un livello razionale. Non vi è apertura di cuore e quindi non vi può essere reale accettazione e sostegno. Tutto si inaridisce.
Una realtà complessa che fa paura
«Dobbiamo sperare – continua Notarbartolo – che il cambiamento culturale e l’adeguamento normativo individualizzato e personalizzato sia possibile. Dobbiamo impegnarci e lavorare per questo e essere ottimisti. In gioco ci sono le vite degli individui immersi in una realtà non monodimensionale, né meramente dicotomica, bensì complessa, che tendenzialmente fa paura perché le persone abbisognano di distinzioni certe e nette, evidenti, potenzialmente non confusive».
Il testo teatrale di Mimì e le ragazze della pallavolo, incarnato magistralmente dalla vis interpretativa di Fabiana Russo, affronta temi complessi come quelli della manipolazione del corpo delle donne – e di chi ha scelto di essere tale. Di un sacrificio potenziale della salute femminile in nome di una presunta emancipazione che deve passare attraverso un’unica strada presentata come percorribile; dell’odio trans-omofobico italiano e mondiale; della messa in dubbio della legittimità e della fondatezza di una scelta da parte degli stessi addetti ai lavori – si pensi che la disforia di genere è stata affrancata dallo stigma di malattia mentale da parte dell’Oms solo nel 2015.
«Sono abituata già da alcuni anni – evidenzia l’autrice – a divulgare informazioni difficili e pesanti, che possono generare reazioni di chiusura e di rifiuto. Per questo, per parlare dell’odio di genere e denunciarlo, ho adottato l’espediente narrativo della trasmissione trash Ammazza la checca».
Un percorso di evoluzione e accettazione
Il pathos del monologo è moltiplicato dall’intervento delle voci registrate di Antonella Esposito, Cinzia Mirabella, Marco Palumbo e dall’aiuto regista Fabio Rossi.
Lo scioglimento del nodo più importante è quello relativo al rapporto con la madre. «L’accettazione da parte della madre – continua Sara Sole – è percepita come massimamente importante. Nello spettacolo la stessa madre fa un percorso di evoluzione, perché ha bisogno di comprendere».
La protagonista, invece, per poter completare la sua transizione vive qualcosa di simile all’elaborazione di un lutto per il suo vecchio sé, per poter finalmente esprimere la donna che avrebbe voluto essere.
«Nello scegliere la protagonista – conclude Notarbartolo – ho finalmente avuto la piena libertà, aspetto davvero unico, di affrancarmi dal genere e poter scegliere solo in base alle capacità attoriali e canore, in maniera trasversale».
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