“Pasolini Napoli Decameron” di Mirko Di Martino chiude la stagione del TRAM
Con lo spettacolo Pasolini Napoli Decameron di Mirko Di Martino si chiude la stagione teatrale 2021/22 del Teatro TRAM. Già andato in scena dal 5 al 7 maggio, l’omaggio all’intellettuale bolognese, di cui quest’anno si celebra il centenario della nascita, torna nella sala di via Port’Alba, 30. E gli appuntamenti sono i seguenti: giovedì 12 maggio alle 18; venerdì 13 maggio alle 20; sabato 14 maggio alle 19; domenica 15 maggio alle 18.
Interpretato da Nello Provenzano, Angela Bertamino, Miriam Della Corte e Domenico Tufano, lo spettacolo racconta la genesi del film che Pier Paolo Pasolini girò a Napoli nel 1971. Una pellicola che nell’intenzione dell’autore doveva essere una critica alla società dei consumi; ma proprio la fascia di pubblico più superficiale, e legata a quello stile di vita, ne decretò il successo, colpita dalle scene di sesso esplicito.
Così, Decameron divenne il film più popolare di Pasolini, ma lo stesso regista, scrittore e poeta ammise che per lui si trattava di una sconfitta sul piano intellettuale. Infatti, il messaggio che voleva lanciare, preservare il mondo antico e contadino dall’avanzata di quello moderno e industriale, fu ignorato completamente dagli spettatori. E invece ne esaltarono l’aspetto più pruriginoso e voyeuristico.
Napoli ultimo baluardo contro la modernità
E Pasolini quel mondo antico credette di averlo ritrovato a Napoli, perciò venne a girare qui il suo film; in una città dove le strade e le chiese, così come i popolani che le abitavano, incarnavano alla perfezione i luoghi dei personaggi borghesi di Boccaccio, nati nella Firenze del 1300. I corpi degli attori, presi per lo più dalla strada, la loro lingua dialettale, le loro espressioni spontanee, davano vita a quell’utopico mondo pre-industriale che Pasolini, in quegli anni, opponeva all’inarrestabile consumismo che stava velocemente cancellando la vecchia Italia contadina.
Così, con la rappresentazione Pasolini Napoli Decameron, il regista Mirko Di Martino tenta di restituire all’opera del genio pasoliniano il suo messaggio più autentico.
«Pasolini – evidenzia il regista – fa dichiarazioni su Napoli attuali e inattuali. È letteralmente innamorato del popolo napoletano. Un popolo ideale che lui desiderava ardentemente esistesse, capace di rimanere puro rispetto alla corruzione operata dalla società dei consumi».
Un modello di società alternativo a quello occidentale
La sua ideologia intellettuale – per questo lui parla del suo film più ideologico – lo porta a ricercare, secondo quanto ribadisce il regista, luoghi fisici ed emotivi alternativi al modello occidentale. Egli li trova – o quantomeno si convince di averli trovati – nel sud dell’Italia e del mondo, salvo poi dover ammettere che se il passato cambia tanto velocemente è perché è stato oggetto di un’idealizzazione mistificante ab origine.
«Sicuramente il proletariato napoletano ha una sua specificità, di cui permangono sacche significative, forse meno ingenue – continua Di Martino –. Ma il considerarlo scevro dalle tentazioni della società dei consumi è sicuramente frutto di un processo di idealizzazione. Il popolo forse ha status symbol diversi da quelli di altre classi sociali, ma sicuramente subisce il richiamo della società dei consumi, anche nel modo di intendere il corpo. Oggi Pasolini stesso riterrebbe un certo tipo di visione monodimensionale, frutto di un’ottica per certi versi nostalgica e passatista».
Come nasce Pasolini Napoli Decameron
Di Martino, in occasione dei cent’anni di Pasolini, voleva mettere in scena la Medea. Poi, quasi casualmente è approdato al Decameron e ne è rimasto profondamente colpito. E così è nata l’idea di realizzare lo spettacolo Pasolini Napoli Decameron.
Al pari di un ricercatore delle scienze sociali, il regista ha definito molto bene il suo oggetto di ricerca a livello spazio-temporale, inquadrandolo nel Pasolini del 1971 a Napoli.
«Si tratta di un tema complesso, ma stimolante – ribadisce –. Il mio punto di vista è quello di utilizzare Pasolini per parlare dei Napoletani oggi, dei loro contrasti e degli stereotipi che essi stessi amano raccontarsi. Se il consumismo ha distrutto l’Italia non ha risparmiato, e non avrebbe potuto farlo, Napoli e i Napoletani. Ogni generalizzazione è per forza di cose non esaustiva».
Il territorio e la lingua
C’è però nel Decameron di Pasolini un legame viscerale con il territorio. Napoli diventa materia viva. Secondo quanto spiega il regista, è comunque evidente una vivacità fisica libera dal potere, con un intrinseco rimando a Focault.
Il regista e gli attori hanno lavorato alacremente sulla sceneggiatura, ma anche sul suo pensiero pasoliniano, laddove i dialoghi e le narrazioni del film presentavano delle differenze rispetto alla sceneggiatura originale, derivanti da un processo di improvvisazione che si incarna in cinque livelli di analisi e di libera interpretazione.
«Nel film – sottolineano il regista e gli attori – si legge una vera e propria esasperazione relativa ai corpi e alla loro iconizzazione in chiave anticapitalistica. I vari personaggi sono oggetto di un gioco attoriale e di un processo di ricerca, dove si esce dall’uno e si entra nell’altro a scena aperta. Il tutto si traduce in una sorta di divertissement, di sfida».
Pasolini crea una fusione tra personaggi reali trasposti sulla scena e personaggi inventati, uniti dall’idea trasversale che il capitalismo corrompe i corpi e li sporca.
«La lingua Napoletana utilizzata da Pasolini – evidenziano gli attori – è in qualche modo innaturale, forzatamente iperbolica. Noi abbiamo scelto di utilizzare un Napoletano naturale e quotidiano, attualizzato».
Il Decameron è il film più personale di Pasolini
Dunque, una mente geniale e anticonformista come quella pasoliniana poté permettersi, all’apice della carriera e della fama – come sottolineano gli addetti ai lavori – di fare un film comico nello stile e nella chiave narrativa, affermando la sua libertà e allontanandosi da quella drammatica fissità statuaria che aveva contraddistinto la sua cifra stilistica fino ad allora.
Contrariamente alle sue intenzioni, poi, il Decameron si dimostrò il suo film più personale, tanto da convincerlo a recitarvi e, in virtù di questa scelta, a modificarne radicalmente la prospettiva da asetticamente oggettiva a soggettiva.
«Al pari del personaggio rappresentato dall’allievo di Giotto – racconta Di Martino – che venne a Napoli a dipingere, Pasolini compie questo viaggio attraverso l’Italia per girare il suo film. E questo si traduce in uno dei momenti più belli e delle tappe fondamentali della sua vita, per sua stessa ammissione, in un momento in cui aveva bisogno di reinventare sé stesso. Per la prima volta fa amicizia con le persone e i suoi attori e si trova immerso in un universo totalizzante».
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