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Zeppole di San Giuseppe, il dolce napoletano dedicato ai papà

Tempo di lettura stimato: 3 minuti

Le zeppole di San Giuseppe sono dolci che la tradizione vuole si mangino nei giorni intorno al 19 marzo, la festa del papà. E anche se è usanza prepararle e guastarle un po’ in tutta Italia, esistono prove storiche che ne attribuiscono l’origine alla pasticceria partenopea.

Infatti, la prima traccia scritta della ricetta risale al 1837, quando Ippolito Cavalcanti le inserisce nel suo libro Cucina tecno-pratica; un volume scritto in lingua napoletana, dove il cuoco e nobile nato ad Afragola raccoglie molte ricette provenienti da diverse classi sociali.

La ricetta del Cavalcanti e le sue origini

Ma nella sua raccolta il Cavalcanti, più che trascrivere la ricetta delle zeppole di San Giuseppe, ne racconta il procedimento di preparazione.

«In una pentola alta metti a cuocere mezzo litro d’acqua con un bicchiere di vino bianco – si legge nel libro, traducendo dal napoletano –. Quando inizia a bollire, va aggiunto mezzo chilo o 650 grammi di farina e s’inizia a girare senza fermarsi. Quando la pasta si stacca dalla pentola, vuol dire che è pronta. A questo punto poggiala su un ripiano, cospargila d’olio e aspetta che si raffreddi un po’ prima di lavorarla. Poi stendila con le mani, controllando che non si siano formati grumi di farina. Fanne tante piccole ciambelle e friggile nell’olio caldo, ma verrebbero meglio fritte con lo strutto. Poi con un bastoncino appuntito bucale, così da farle squiglià (termine incomprensibile –ndr) e farle venire vuote dentro. Impiattale, aggiungendo zucchero e miele. Per farle venire più morbide prepara la pasta un giorno prima».

Dunque, questo è il testo del Cavalcanti, che, però, non inventa nulla. Lui si limita a mettere per iscritto un procedimento conosciuto da secoli. Infatti, nel 1400 le zeppole erano già il dolce preferito del viceré di Napoli, Juan II de Ribagorza.

In realtà le zeppole, così come le chiacchiere, vengono da molto più lontano. Addirittura, pare siano un retaggio dell’antica Roma, quando con riti pagani si celebravano Bacco e Sileno, dèi del vino e del grano. All’epoca il 17 marzo si organizzavano feste per onorare le due divinità, bevendo fiumi di vino e mangiando frittelle di frumento cotte nello strutto. In seguito, con l’avvento del cristianesimo Roma abolì le celebrazioni pagane, ma la religione cattolica fissò al 19 marzo la festa di San Giuseppe. E le frittelle tornano a essere simbolo di quella giornata, arrivando fino ai giorni nostri in forma di zeppole.

La forma moderna delle zeppole di San Giuseppe

La versione moderna delle zeppole di San Giuseppe ricorda vagamente un piccolo vulcano e, con un po’ di fantasia, potremmo vederci perfino il Vesuvio. Com’è noto, si tratta di ciambelle fatte con uova e farina, scavate un po’ al centro e fritte. Una volta cotte, si versa su la crema pasticcera, creando una forma conica rovesciata. E in cima a questo cono si aggiunge un’amarena. Infine, si cosparge su lo zucchero a velo.

In questa forma erano già realizzate nel 1700 e si racconta che le specialiste di questo dolce fossero le suore. Addirittura pare ci fosse una sorta di competizione tra le monache dello Splendore e della Croce di Lucca e quelle di San Basilio del Monastero di San Gregorio Armeno per stabilire di chi fosse la ricetta migliore. Ma c’è anche chi ipotizza che le zeppole di San Giuseppe, così come le conosciamo oggi, siano opera di Pignataro, lo stesso della sfogliatella. Il noto pasticcere avrebbe rivisitato proprio la ricetta del Cavalcanti, aggiungendo all’impasto uova e aromi vari.

Quello che è certo è che da secoli le zeppole di San Giuseppe non possono mancare sulla tavola dei napoletani; soprattutto il 19 marzo, il giorno dedicato al santo, che dal 1968 è stato scelto anche per festeggiare i papà.

Fotografia pubblicata per gentile concessione di Mara Chianese.

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Redazione ilFattoNapoletano.it

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